A detta dei francesi, le traduzioni sono come le donne: belles infidèles, ovvero se sono belle, non possono essere fedeli. Dalla moda ai formaggi, non c’è dubbio che i cugini d’oltralpe sappiano il fatto loro su un mucchio di cose ma in questo caso non siamo d’accordo.
Una traduzione può essere TANTO bella QUANTO accurata… se fatta bene.
Ma cosa s’intende per “fatta bene”? Dipende solo dall’abilità del traduttore? Sì e no.
Quando si parla di traduzione, infatti, ci troviamo davanti a un gioco di squadra in cui il traduttore raccoglie le nostre idee e ci aiuta a portarle in luoghi lontani, dove la gente parla e pensa in modo diverso dal nostro. Luoghi che altrimenti non saremmo in grado di raggiungere.
Per permettergli di farlo al meglio, dobbiamo solo ricordarci della sua esistenza e cercare per quanto possibile di semplificargli il lavoro. Perché mai dovremmo farlo? Beh, innanzitutto perché siamo persone gentili, e secondo perché un lavoro più semplice per il traduttore solitamente significa un risultato più rapido e migliore per noi.
Se, come diceva Federico Fellini, “un linguaggio diverso è una diversa visione della vita”, allora è chiaro di qualsiasi testo si tratti (un documento marketing, schede prodotto per un sito di eCommerce o un contratto legale), tradurre non significa semplicemente sostituire le parole della lingua A con quelle della lingua B ma prevede un processo ben più complesso.
Sebbene il peso degli elementi non verbali e contestuali sia più evidente nel parlato (espressioni facciali, linguaggio del corpo, gestualità, tono di voce), la comunicazione scritta può essere altrettanto insidiosa, anche se forse in modo più sottile.
La lingua scritta e i suoi tranelli
Riferimenti e sfumature culturali possono celarsi nell’ordine delle parole, nella scelta delle metafore, nell’uso deliberato di frasi lunghe e complesse: potrà sembrare incredibile ma, in alcuni casi, la chiarezza non è nemmeno il fine ultimo della comunicazione (si pensi al famoso legalese, il gergo talvolta incomprensibile usato dagli avvocati).
Dal punto di vista della traduzione, uno stile contorto o poco chiaro è altamente controproducente e si traduce in un processo più lungo e più rischioso.
La reazione di un traduttore a questo genere di testi può andare dall’esitazione esasperante (con continue richieste di chiarimento al cliente) al decisionismo spericolato, perché in fondo il tempo è denaro e non è pensabile soffermarsi su ogni singola parola. Certo, potrebbe azzeccarci… o magari no.
Per questo è importante essere certi che il nostro traduttore capisca sempre esattamente cosa intendiamo dire: il risultato sarà una traduzione più veloce, chiara e accurata (e, naturalmente, un linguista più felice, ma questo è un altro paio di maniche).
Come fare? Ecco 10 semplici consigli per scrivere testi perfetti per la traduzione.
1. SEMPLICE È BELLO
Evitare frasi lunghe e complesse. L’uso di frasi brevi rende i testi più leggibili, comprensibili e, di conseguenza, più facili da tradurre, con meno rischi di errori.
Secondo un articolo uscito qualche tempo fa su Time Magazine, l’avvento degli smartphone avrebbe segnato l’inizio di un declino della nostra soglia di concentrazione, riducendola progressivamente fino a circa 8 secondi. Meno di quella di un pesce rosso, che a quanto pare si attesterebbe sui 9 secondi.
Secondo questo studio, se il nostro obiettivo è che i nostri simili (e magari anche i pesci rossi) ci leggano e ci capiscano (evitando che il traduttore rimanga impantanato nella sintassi), la lunghezza ideale delle frasi dovrebbe essere di circa 20-25 parole.
2. RISPETTARE DELLE PAROLE L’ORDINE CONVIENE
La sintassi standard dell’italiano prevede che i vari elementi della frase seguano l’ordine soggetto-verbo-oggetto (SVO). Diciamo infatti:
“Margherita ama la cioccolata”.
In altre lingue, come ad esempio il coreano, il turco, il punjabi e il tamil, l’oggetto è anteposto al verbo (SOV). La nostra frase diventerebbe quindi:
“Margherita la cioccolata ama”.
Esistono anche lingue VSO, in cui le frasi seguono quindi l’ordine verbo-soggetto-oggetto. L’arabo, il filippino, l’hawaiano, l’irlandese, il gaelico scozzese e il tongano sono tutte lingue SVO. Avremmo quindi qualcosa del genere:
“Ama Margherita la cioccolata”.
E poi, naturalmente, c’è Maestro Yoda, che parla una lingua OSV (“La cioccolata, Camilla ama”). Fortunatamente sul nostro pianeta quest’ordine sintattico ha un uso piuttosto limitato (l’unico esempio risulta essere quello della lingua haida, parlata nell’arcipelago canadese delle Haida Gwaii).
Come abbiamo visto, l’ordine delle parole segue regole standard che, se non rispettate, possono rendere il significato meno chiaro. Ricordiamocelo dunque: se scriviamo in italiano e vogliamo essere certi che ci capiscano, usare una sintassi SVO è sempre una buona idea.
3. LE RIPETIZIONI NON SONO UNA BRUTTA COSA
Ce l’hanno detto e ridetto a scuola: le ripetizioni denotano pigrizia e scarsa proprietà di linguaggio, bisogna usare i sinonimi! Dai pensierini del giorno in prima elementare al tema di maturità, ci hanno instillato l’ansia da sinonimo a tutti i costi.
La verità è che se non siamo romanzieri e quello che scriviamo è destinato a essere tradotto, possiamo finalmente rilassarci: in questo caso l’insegnamento della maestra non vale più.
Al contrario, le ripetizioni sono il regalo più bello che possiamo fare al nostro traduttore.
A meno che non si tratti di testi creativi, infatti, la coerenza lessicale è un elemento fondamentale per la traduzione, che garantisce la chiarezza dei documenti e abbatte i costi grazie all’impiego delle memorie di traduzione.
Il riciclo (in questo caso, il riutilizzo di contenuti già tradotti) è sempre una pratica virtuosa e gli strumenti CAT (Computer-Aided-Translation) fanno proprio questo: dividono il testo in segmenti e permettono di riciclare quanto fatto in passato.
La traduzione costa di meno, i tempi di consegna sono più rapidi e la coerenza è assicurata.
4. SERIAMENTE, LASCIAMO PERDERE L’UMORISMO
A tutti piace ridere, ma esistono poche cose più legate alla sensibilità individuale e culturale dell’umorismo.
Pensiamo ai giochi di parole, per esempio: nella traduzione si perde inevitabilmente ogni intento umoristico e lo sfortunato linguista di turno non ha altra scelta se non neutralizzarlo o lambiccarsi il cervello alla ricerca di un equivalente nella lingua di arrivo.
Nel caso di battute e barzellette non solo la traduzione richiede molto tempo, ma è anche molto rischiosa: ciò che per noi è divertente potrebbe essere addirittura offensivo in un’altra cultura (tabù culturali).
Quando scrivendo siamo tentati di usare l’umorismo meglio chiederci: “davvero questa battuta è funzionale alla trasmissione del mio messaggio?”. Se la risposta è no, meglio evitare.
Il testo di partenza sarà più facile da tradurre e non correremo il rischio di infastidire nessuno.
Se, invece, riteniamo che l’umorismo sia parte fondamentale di ciò stiamo scrivendo e non vogliamo rinunciarvi, allora sarà opportuno ricorrere alla transcreazione (ulteriori informazioni sono disponibili alla pagina “Transcreazione” del nostro sito) per ottenere un testo che, pur diverso nella scelta di immagini e riferimenti, abbia un effetto equivalente a quello di partenza.
5. OCCHIO ALLE DATE
Quando ci capita di leggere documenti provenienti dagli Stati Uniti, capita spesso di imbattersi nelle date in formato “mm-gg-aaaa”.
Da noi, come nella maggior parte degli altri Paesi, nelle date il giorno viene scritto per primo e l’anno per ultimo (gg-mm-aaaa), mentre in altri Paesi (asiatici) l’anno viene scritto per primo, seguito dal mese e dal giorno (aaaa-mm-gg).
Capita spesso che a causa di queste diverse convenzioni si generino malintesi.
Per evitare che accada, è meglio scrivere le date per intero (28 settembre 2023), così da renderle chiare anche per i lettori americani o asiatici che non hanno familiarità con il nostro formato di data.
6. IL PASSIVO VA EVITATO EVITARE IL PASSIVO
Quando usiamo il passivo, a compiere l’azione è l’oggetto.
Talvolta non ce ne rendiamo conto, ma l’agente (ovvero chi è effettivamente responsabile dell’azione) viene addirittura omesso. A volte è una scelta deliberata, perché l’agente non è noto o implicito o poco importante, o perché magari preferiamo non nominarlo.
In particolare, l’uso del passivo è molto diffuso negli scritti accademici (“è stata condotta una ricerca…”) e fra i politici (“sono stati commessi degli errori”).
A volte il passivo permette di veicolare sfumature di significato ben precise, per questo ci sembra la soluzione migliore, ma la realtà è che in un’ottica di chiarezza e semplificazione linguistica il passivo non è mai consigliato, soprattutto se quello che scriviamo è destinato a essere tradotto.
Perché? Per cominciare non tutte le lingue hanno una voce passiva. Per rendercene conto basta guardare questo elenco preso dal World Atlas of Language Structures.
Infine, anche se la maggior parte delle lingue presenta un’alternanza di attivo e passivo, in molti casi quest’ultimo non è frequente quanto in italiano (si pensi per esempio al francese, dove il pronome impersonale “on” viene usato per rendere attive anche le frasi senza agente).
7. EAEAAOC (Evitare Acronimi E Abbreviazioni A Ogni Costo)
Chi di noi si ritrova spesso a scrivere testi di natura scientifica o finanziaria lo sa bene: acronimi e abbreviazioni sono una grande risorsa, capace di rendere più semplice e veloce la comunicazione quotidiana.
Allo stesso tempo, se il genere di contenuto che stiamo scrivendo è destinato a un pubblico più ampio che non comprende solo addetti ai lavori è certamente meglio evitarli (o sarà opportuno fornire un glossario degli acronimi e delle abbreviazioni che decidiamo di usare).
Il fatto è che un acronimo – ovvero una parola formata dalle iniziali di più parole – raramente suona bene tradotto in un’altra lingua (tralasciando gli acronimi ormai universalmente diffusi come CEO – Chief Executive Officer).
Affidarsi ad acronimi e abbreviazioni in un testo destinato alla traduzione può essere rischioso e può generare fraintendimenti.
Un esempio?
Prendiamo l’acronimo AD. Amministratore Delegato… giusto? O magari Art Director? Oppure Anno Domini? O ancora Analogico/Digitale? Per non parlare dei possibili significati che lo stesso acronimo può avere in altre lingue!
Anche in questo caso, il contesto può aiutare, ma non sempre.
La regola generale, quando scriviamo testi destinati alla traduzione, è quella di scrivere la parola per intero. Il traduttore ci ringrazierà per questo e soprattutto saremo certi della correttezza del testo nella lingua d’arrivo.
8. LE FIGURE RETORICHE POSSONO MANDARE TUTTO… A ROTOLI!
Senza figure retoriche il linguaggio sarebbe noioso.
Le figure retoriche regalano alla lingua che usiamo tutti i giorni quel tocco di poesia, rendendo anche l’argomento più banale degno di essere ascoltato o letto.
Prendiamo le metafore, per esempio. Usandole siamo in grado di trasferire le proprietà tipiche di un oggetto o di un’azione a un altro oggetto o azione a cui normalmente non sono associate.
E mica parliamo di poeti… i primi appassionati di metafore sono i politici.
Basti pensare al celebre “siam mica qui a smacchiare i giaguari” di Pierluigi Bersani, che della metafora ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia (per rimanere in tema).
Suoi anche “siam mica qui ad asciugare gli scogli” o “a pettinare le bambole”. O ancora, meravigliosamente surreale: “la mucca nel corridoio sta bussando alla porta”.
Se Bersani invece di chiamare in causa il giaguaro si fosse limitato a dire: “non siamo qui a perdere tempo”, la sua frase non sarebbe diventata un cult ma si sarebbe persa fra milioni di discorsi da campagna elettorale.
Ma non lo fece e per questo ancora ce ne ricordiamo.
Se però il nostro obiettivo non è fare la storia, ma assicurarci che il nostro testo sia il più chiaro e facilmente traducibile possibile, meglio lasciar perdere le figure retoriche.
Le metafore non sono sempre chiare e possono passare inosservate.
In tal caso, c’è il rischio che siano tradotte letteralmente, con risultati che possiamo immaginare.
Ogni volta che si traduce qualcosa che non sia letteratura, ciò che conta veramente è il significato del testo di partenza.
A meno che, naturalmente, non decidiamo di scendere in politica. In tal caso possiamo cominciare a coniare figure retoriche “a briglia sciolta”, con buona pace dei traduttori.
9. ATTENZIONE ALLA GRAFICA
In questo frangente, ci sono due aspetti da evidenziare: il contenuto grafico e il contenitore grafico.
Il contenuto grafico
I documenti da tradurre spesso contengono grafici, screenshot o immagini.
Se questi elementi non modificabili contengono a loro volta del testo, tradurli può risultare molto complicato.
In tal caso potrebbe essere necessaria anche una fase di DTP (desktop publishing), con costi aggiuntivi oltre alla traduzione (e tempi di consegna dilatati, se si tratta di documenti lunghi).
Per evitare tutto ciò, è sufficiente creare caselle di testo separate nel documento originale, distinte quindi dalle immagini. La traduzione sarà più veloce e con ogni probabilità avremo un risparmio di denaro.
Il contenitore grafico
Se dobbiamo scrivere un contratto o una relazione tecnica, con ogni probabilità il fatto che la traduzione risulti più lunga del testo di partenza sarà irrilevante.
Al contrario, se stiamo lavorando a una brochure o a un catalogo multilingue allora è meglio accertarsi che il layout tenga conto di possibili variazioni nel volume del testo tradotto.
Semplicemente, alcune lingue hanno parole più corte rispetto all’italiano (pensiamo all’inglese, con i suoi moltissimi monosillabi)… o più lunghe!
Il tedesco per esempio, basti pensare che Rinderkennzeichnungsfleischetikettierungsüberwachungsaufgabenübertragungsgesetz è attualmente la parola più lunga riportata dal dizionario tedesco Duden. Immaginiamo di doverla inserire in una brochure!
Il risultato è che una traduzione può finire per occupare più spazio (fino a un terzo in meno o in più) rispetto alla lingua di partenza.
Se vogliamo essere sicuri di non avere problemi con l’espansione o riduzione del volume di testo, meglio chiedere un parere a chi con le traduzioni ci lavora ogni giorno… Linklab, per esempio!
A seconda della lingua, potremo così avere un’idea di quanto il nostro testo si espanderà o contrarrà una volta tradotto, evitando di dover mettere mano alla grafica una seconda volta.
10. CHI, COSA, QUANDO, DOVE E PERCHÉ. L’IMPORTANZA DEL DETTAGLIO
Le care vecchie cinque W del giornalismo anglosassone.
Valgono in qualsiasi situazione, dalle notizie in prima pagina alle indagini di polizia… alla traduzione.
Il nostro traduttore deve sapere esattamente cosa vogliamo dire, a chi lo stiamo dicendo e perché, oltre a tutta una serie di informazioni di contesto.
In quale contesto verrà utilizzata la traduzione? Quanto deve essere formale?
Questo genere di informazioni è fondamentale, soprattutto se ci rivolgiamo a culture gerarchiche dove in alcuni ambienti ci si aspetta un alto grado di formalità.
Alcuni sono riluttanti a condividere quelle che ritengono essere informazioni sensibili, ma è bene ricordare che chi si affida a un provider di servizi linguistici serio può dormire sonni tranquilli.
Linklab, per esempio, fa sottoscrivere ai propri traduttori un NDA (accordo di riservatezza) che tutela le informazioni di cui possono venire in possesso nello svolgere il proprio lavoro.
Per concludere:
Se quando scriviamo un testo che dovrà essere tradotto in altre lingue terremo a mente questi 10 consigli, possiamo stare certi che il lavoro sarà preciso, veloce ed economico. Senza dimenticare che diventeremo i clienti preferiti del nostro traduttore e il nostro karma ne trarrà beneficio!
Se invece andiamo di fretta e i testi sono già stati scritti (e non c’è più tempo per le sottigliezze linguistiche), Linklab offre anche servizi di consulenza ed editing dei testi di partenza per garantire una traduzione impeccabile.
Per maggiori informazioni o per ricevere un preventivo gratuito, contattare Linklab è facile, basta telefonare allo 040-630212 oppure inviare una mail all’indirizzo [email protected].
