Dopo mesi di austerità forzata causa pandemia riscopriamo il piacere di una serata al ristorante con gli amici. Ma la deformazione professionale è una cosa seria e un linguista che si rispetti non si rilassa mai, nemmeno quando è fuori a cena. Nemmeno al lume di candela.
Succede così che, leggendo il menù, l’occhio cada sugli scivoloni di chi forse crede che in certe situazioni conti più il palato della lingua. Il fatto è che le parole sono importanti sempre, anche a tavola.
A tale proposito, mi sono imbattuta di recente in un volume molto interessante. Mi riferisco a “The Language of Food”, scritto da Dan Jurafsky, Professore di linguistica presso la Stanford University.
Il libro riporta le conclusioni di uno studio condotto da Yurafsky e colleghi, basato sull’analisi (tramite gli strumenti della linguistica computazionale) di centinaia di migliaia di recensioni e menù di ristoranti.
I risultati presentati sono rivelatori e non solo per linguisti & grammar nazi. Un esempio? Dallo studio è emerso che nelle recensioni peggiori (quelle da 1 stella, per intenderci), gli avventori scontenti utilizzano lo stesso linguaggio di chi deve descrivere un evento traumatico, sia dal punto di vista semantico che sintattico-grammaticale.
Se i casi elencati da Jurafski sono in inglese, basta una veloce ricerca su internet per trovare riscontro anche sui siti di recensioni italiani.
“Meglio morire di fame e di freddo piuttosto che mangiare in questo posto”.
“… gestito da un’autentica despota”.
“Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.
“… cominciamo a essere assaliti da un misto di terrore e delusione…”.
“… uscendo capiamo che non è il freddo a farci tremare”.
“… un incubo”.
Per inciso, tutte queste recensioni le ho trovate casualmente in riferimento a un certo ristorante in cui mi riprometto di non mettere mai piede.
In altre parole, una brutta esperienza a tavola non è solo un incidente di percorso… è un vero e proprio attentato alla persona!
Interessanti anche i commenti ai ristoranti sofisticati e pluristellati. Qui, secondo Jurafsky, si sprecano i polisillabi e i termini ricercati. Ecco anche in questo caso alcuni esempi presi da Tripadvisor.
“Esperienza avvolgente e appagante”.
“Un’esplosione di abbinamenti”
“Un’interpretazione della cucina raffinata e legata alla tradizione”.
“Gentilissimo, simpaticissimo e professionale”
“Ottimo impiattamento”.
“Location old-fashioned ma calda ed accogliente”
Sembra quasi che, con i propri giudizi altisonanti, il cliente cerchi di elevarsi allo stesso livello del ristorante.
Le recensioni positive dei ristoranti di fascia medio-bassa si concentrano invece su aspetti come l’abbondanza, la freschezza e la bontà del cibo.
“bastano tre polpette per essere sazi e felici fino a pomeriggio inoltrato”.
“piatti robusti, abbondanti, ottimi!”
In certi casi, osserva Jurafsky, i clienti ricorrono addirittura al lessico della dipendenza (“quelle patatine sono una vera droga!”; “impossibile resistere a quelle lasagne…”), come a volersi giustificare per aver ceduto alla tentazione.
Anche i menù raccontano più di quanto non si pensi.
Più il ristorante è costoso ed esclusivo, più il menù è ricercato e addirittura criptico, sintetico nell’illustrare ingredienti e preparazioni, sottintendendo così il livello della clientela. In questi menù non si leggono aggettivi come “fresco”, “delizioso”, “croccante”: si dà per scontato che le materie prime siano fresche e che le pietanze siano invariabilmente ottime, della consistenza ideale.
Diversamente stanno le cose per i menu dei ristoranti meno sofisticati. Qui sono frequenti i riferimenti alla freschezza degli ingredienti impiegati: la carne è “di prima scelta”, il pescato “di giornata”, quasi che il ristoratore fosse ansioso di ribadire la bontà delle pietanze offerte.
Anche la lunghezza del menù è indicativa del prestigio di un locale: troppe pagine sono generalmente indice di un’offerta più turistica che incentrata sulla qualità.
Insomma, anche al ristorante ciò che diciamo e come lo diciamo (o scriviamo) parla di noi più di quanto non si creda e vale la pena di rifletterci su.
E quando il menù diventa multilingue? Beh, non ne parliamo. Internet pullula delle segnalazioni impietose di chi a tavola alterna forchetta e penna rossa.
Ma perché così tanti errori? E che effetto fanno in chi li legge? Di questo parleremo nel prossimo articolo!
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L'autore
Elisabetta Maurutto
Laureata in Interpretazione (inglese e russo) presso la SSLMIT di Trieste e fondatrice di Linklab, laboratorio di comunicazione multilingue e interculturale. Ha tradotto numerose opere di divulgazione scientifica per una nota casa editrice e lavora come consulente nel campo della Comunicazione Interculturale per conto del MIB School of Business e presso aziende internazionali. Etiquette Consultant certificata, è membro della IAPO – International Association of Professional Etiquette Consultants, nonché Istruttrice certificata Tracom per il metodo Social Styles & Versatility
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