Articolo scritto da Elisabetta Maurutto

Parla come mangi… o magari no. La discriminazione basata sull’accento come ostacolo all’inclusività

C’è chi ne va fiero e lo ostenta, chi invece si sforza di nasconderlo, ma la verità è che tutti ne abbiamo uno.

Parliamo dell’accento. Il nostro modo di parlare racconta molto di noi: la nostra età, la nostra provenienza geografica, la nostra classe sociale e persino il nostro livello di istruzione. Spesso sulla base dell’accento possiamo formarci un’idea di chi ci sta davanti e formulare ipotesi che, in alcuni casi, possono anche rivelarsi corrette.

Attenzione però: permettere all’accento di condizionare la nostra opinione sull’affidabilità, la competenza e capacità professionale o lo status economico di una persona è potenzialmente un grave errore. Un simile condizionamento equivarrebbe a un pregiudizio e i pregiudizi, è provato, influenzano il modo in cui le persone vengono viste e trattate. In altre parole, sono veicolo di discriminazione.

Ebbene, la discriminazione basata sull’accento, ovvero sul modo in cui una persona parla, è una realtà ormai riconosciuta e ha diversi nomi: si parla infatti di accentismo, linguistic profiling e razzismo linguistico.

È provato che la discriminazione basata sull’accento rafforza le disuguaglianze sociali ed economiche e limita l’accesso all’istruzione, all’occupazione e all’assistenza sanitaria, perpetuando i cicli di povertà.

Anche gli effetti psicologici dell’accentismo sono significativi e possono tradursi in esclusione, vergogna e perdita di autostima.

Si tratta di una discriminazione spesso inconsapevole, il che la rende ancor più subdola.

Il Progetto CIRCE

Per contrastare questo fenomeno e le sue conseguenze, l’Istituto di Linguistica Computazionale “Antonio Zampolli” del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha aderito al progetto CIRCE (Counteracting accent dIscrimination pRactiCes in Education), Finanziato dal programma dell’Unione europea Erasmus+ e coordinato dall’Università degli Studi di Siena.

Obiettivo del progetto CIRCE è di analizzare il modo in cui gli accenti sono percepiti da studenti e insegnanti in Italia, Germania, Portogallo e Bosnia, così da contribuire a una migliore comprensione del fenomeno della discriminazione basata sull’accento.

Il nome del progetto, CIRCE, è un acronimo che allude alla “dea terribile dalla voce umana”, come la descrive Omero, che proprio per questo era vista con sospetto dagli altri dei. In altre parole, un caso di accentismo ante litteram.

Trattandosi di un fenomeno ancora poco conosciuto, la raccolta di materiale sperimentale nell’ambito del progetto e la sua condivisione con il resto della comunità scientifica sono di fondamentale importanza.

Dal punto di vista pratico, affrontare la discriminazione linguistica nell’ambito dell’istruzione richiede

  • l’attuazione di politiche linguistiche inclusive,
  • lo stanziamento di risorse per l’istruzione multilingue,
  • la formazione degli insegnanti a pratiche pedagogiche inclusive,
  • la promozione della diversità linguistica nei materiali didattici.

In questo modo è possibile creare ambienti educativi equi in grado di valorizzare e celebrare la diversità linguistica degli studenti.

La discriminazione linguistica in azienda: il code-switching

Tralasciando il contesto scolastico, la discriminazione linguistica basata sull’accento avviene anche sul posto di lavoro (aziende o istituzioni). Non sorprende dunque che molte persone ritengano necessario cambiare e adattare il proprio accento o il proprio modo di parlare, un fenomeno noto anche come code-switching.

Per code-switching si intende il passaggio da un codice linguistico (una lingua o un dialetto/accento) a un altro, a seconda contesto sociale o del contesto conversazionale (Morrison, Carlos D. “code-switching” Encyclopaedia Britannica, 30 May. 2017 https://www.britannica.com/topic/code-switching).

Secondo un sondaggio (The Language of Discrimination) condotto nel Regno Unito – dove la questione è indubbiamente complicata dalla presenza della Received Pronunciation o BBC English, ovvero la pronuncia “ufficiale” e “prestigiosa” che però è parlata a malapena dal 3-5% della popolazione inglese – dall’agenzia di pubbliche relazioni e marketing Fleishman Hillard su un campione di 300 intervistati (dipendenti di Creative Access, una società specializzata in ambito Diversity & Inclusion), addirittura l’81% ammette di ricorrere al code-switching per diverse motivazioni, ovvero

  1. essere presi più seriamente,
  2. apparire più intelligenti,
  3. essere percepiti come appartenenti a una classe sociale più elevata.

Le risposte del sondaggio suggeriscono che, per molti intervistati, il proprio accento rappresenta un potenziale ostacolo nel guadagnare e mantenere la fiducia e la stima di colleghi, colleghi e clienti.

Inoltre, se è pur vero che il code-switching interessa la maggioranza delle persone (noi tutti, istintivamente, adattiamo il nostro linguaggio e il nostro comportamento in base alle diverse situazioni sociali) non si può ignorare il fatto che la pratica del code-switching è più diffusa tra coloro che appartengono a una categoria sottorappresentata in termini di provenienza, etnia o background socio-economico.

Per queste persone esiste infatti un rischio più elevato di conseguenze negative se non riescono a modificare il proprio codice linguistico: una realtà che può generare ansia e persino burnout.

In Francia è reato

In Francia, dove la questione della lingua è da sempre cosa seria, nel dicembre del 2020 l’Assemblée Nationale ha approvato una legge che introduce il reato di “glottofobia”, ovvero la fattispecie che colpisce chi viene discriminato per il proprio accento.

In un paese multietnico come la Francia, in cui l’integrazione è un obiettivo ancora non raggiunto, combattere la glottofobia può costituire un passo importante nella lotta alle discriminazioni sociali.

La discriminazione basata sull’accento è strettamente legata a razzismo, xenofobia e classismo. Impedisce la mobilità sociale e salvaguarda il privilegio di chi ha un accento meno marcato o “socialmente accettato”.

Come in qualsiasi battaglia per l’inclusione, il progresso nasce prima di tutto dalla consapevolezza e dalla legittimazione della diversità. Nel caso della discriminazione linguistica, la strada più veloce per il cambiamento passa per una più ampia rappresentanza delle minoranze nei luoghi di potere, della cultura e dei media.

Un esempio di come può cambiare la percezione di un accento? Prendiamo quello altoatesino. Fino a qualche mese fa era associato alla voce di Reinhold Messner e richiamava alla mente pascoli e montagne (e un fortunato-issimo spot), ma sono bastati pochi mesi e lo stesso accento ci fa pensare al sorriso timido e allo sguardo intelligente di un ragazzo dai capelli rossi. Grazie al tennista N°1 al mondo, l’accento della Val Pusteria è diventato improvvisamente glamour!

In conclusione, la discriminazione linguistica è un fenomeno reale e diffuso, ma diventarne consapevoli è il primo passo per aprire la strada a una società più inclusiva.

L'autore
Elisabetta Maurutto
Laureata in Interpretazione (inglese e russo) presso la SSLMIT di Trieste e fondatrice di Linklab, laboratorio di comunicazione multilingue e interculturale. Ha tradotto numerose opere di divulgazione scientifica per una nota casa editrice e lavora come consulente nel campo della Comunicazione Interculturale per conto del MIB School of Business e presso aziende internazionali. Etiquette Consultant certificata, è membro della IAPO – International Association of Professional Etiquette Consultants, nonché Istruttrice certificata Tracom per il metodo Social Styles & Versatility

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Da Linklab e dintorni, un ritrovo di linguisti, bibliofili, traslocatori di idee e bevitori di tè. Un luogo in cui ragionare e divagare seguendo il flusso dei pensieri, in cui la regola d’oro è: mai parlare di lavoro… è una questione di savoir vivre!